Il 19 novembre, su Il Sole 24 Ore del lunedì, pubblicata una intera pagina a cura di Paola Parigi, dedicata alla pianificazione strategica per lo studio professionale.
Nella pagina si spiega quali sono le tecniche e quali le principali cure da dedicare alla pianificazione, nel settare gli obiettivi, dedicare risorse e individuare gli strumenti più adatti.
Non un semplice business plan, ma una mappa dettagliata con la rotta da seguire. Si presenta così il piano strategico che ogni studio legale dovrebbe redigere per indirizzare l’ attività in modo da raggiungere i propri obiettivi. Si tratta di un documento complesso composto da una premessa analitica e corredato dell’indicazione sintetica degli obiettivi, delle risorse impiegate, dei risultati attesi e degli strumenti o delle persone coinvolte nel suo svolgimento.
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Il piano strategico che ogni studio legale dovrebbe redigere per indirizzare la propria attività è la mappa che l’organizzazione si propone di seguire per raggiungere i propri obiettivi.
Non si tratta di un semplice “business plan”, ma di un documento più complesso composto da una premessa analitica e corredato dell’indicazione sintetica degli obiettivi perseguiti, delle risorse impiegate dei risultati attesi e degli strumenti o delle persone coinvolte nel suo svolgimento.
Si tratta in sostanza di una presentazione di bisogni e intenzioni, che disegna la strada per raggiungere la loro soddisfazione.
Normalmente lo studio professionale affronta la redazione del piano strategico dopo la pausa estiva, appena chiusi i conti del cosiddetto “secondo quarto” dell’anno; alcuni tuttavia preferiscono redigerla prima della fine dell’anno solare.
Quel che conta è avere un quadro verosimile della reputazione dello studio e della sua redditività, nonché dell’andamento finanziario in termini di fatturato, declinato per singolo professionista o squadra di professionisti, per cliente o gruppo di clienti e per tipologia di lavoro o, come si usa dire nei grandi studi, per practice area,
Anche il professionista che lavora da solo, o con pochi collaboratori, dovrebbe fermarsi a riflettere e organizzare le proprie idee sul futuro trasformandole in strategia.
La forma del piano strategico
Il piano potrà essere redatto in modo più o meno formale, ma deve comunque essere scritto.
La formalizzazione infatti, soprattutto delle ragioni che lo sorreggono e delle intenzioni che lo compongono è decisiva perché il professionista o il gruppo di professionisti si faccia carico della volontà di agire nella direzione indicata.
Secondo gli studi più recenti, che si dipartono dalla teoria del «Goal setting» elaborata da Edwin Locke sin dagli anni ’70 e tutt’ora proseguita insieme a Gary Latham, l’attivitàdi pianificazione di strategie, ovvero il desiderio di passare dallo stato presente a un diverso futuro, produce un apparente disequilibrio che sprona le persone a cercare in sé, e fuori di sé, le risorse necessarie a raggiungere lo scopo. Per riuscirvi infatti, occorre visualizzare il futuro immaginandone gli effetti, il cosiddetto feedforward.
Dire e scrivere di desiderare un cambiamento, delinearlo con precisione, indicare gli stati intermedi per il suo raggiungimento, gli sforzi e le risorse messe in campo, consente alle nostre capacità cognitive e intellettive, di allinearsi con lo scopo perseguito scatenando la forza di volontà sia a livello conscio che inconscio.
La stesura del piano (e la sua discussione, in caso di organizzazioni plurali), è quindi parte integrante e imprescindibile del piano stesso per una ragione interiore così importante che ne può da sola determinare l’insuccesso o di converso garantire il successo.
Il piano potrà essere articolato in una presentazione schematica, illustrativa degli obiettivi e degli strumenti individuati per raggiungerli per poi essere perfezionato, una volta discusso o meditato, con il corredo di un budget preventivo e, successivamente, tradursi in un masterplan.
Quest’ultimo, altro non è che una lista di azioni impostata secondo una scala di priorità logica e cronologica (certe cose vanno fatte prima di altre, alcune sono più facili, altre più urgenti, etc.), e pone in relazione il «cosa fare», con il «quando fare» con il «chi deve farlo», con il «quanto può spendere» e infine con le aspettative di risultato (ROI o return on investment).
Nell’elaborazione delle diverse teorie di management sono state formulate numerose matrici che possono soccorrere nella stesura della pianificazione e anche nelle fasi successive di realizzazione e controllo del piano.
Le più note sono quelle che consentono di identificare graficamente le aree di mercato da sviluppare o quelle già note da incrementare con servizi nuovi (Matrice di Ansoff), o quelle che analizzano le quote di mercato presidiate dall’attività dall’organizzazione (Matrice di Boston) o ancora i diagrammi che consentono di monitorare costantemente le attività di ciascuno degli attori coinvolti nella strategia (diagramma di Gannt).
L’analisi dei dati
«Senza dati sei solo un’altra persona con un’opinione» W. Edwards Deming
Uno studio legale, piccolo o grande che sia, deve conoscere i dati relativi alla propria attività per poter affrontare una qualunque azione strategica.
I dati necessari riguardano, ad esempio, il fatturato prodotto nell’anno o porzione di anno, le caratteristiche e la fedeltà della clientela che lo ha generato, la mole di lavoro necessaria a produrlo, il numero e il costo degli addetti impiegati nella produzione, le spese vive per la gestione della struttura e via dicendo.
Senza una precisa fotografia dell’esistente sarà difficile impostare una corretta strategia per il futuro.
L’utilizzo di software gestionali in grado di fornire una reportistica utile è ancora piuttosto marginale tra gli studi italiani. Si stima che meno di uno studio legale su tre utilizzi un programma in grado di memorizzare e stoccare i dati utili alle analisi prodromiche alla gestione strategica.
La maggioranza dei professionisti si accontenta di chiedere al proprio gestionale di organizzare l’agenda e di emettere le parcelle.
Quegli studi che invece si affidano ad una raccolta analitica dei dati e leggono la reportistica, normalmente sono premiati dal successo in termini di risultati, ma anche di efficienza e risparmio di risorse.
Quasi sempre il titolare o il gruppo dirigente, aiutati o meno da un consulente di marketing strategico, devono invece operare le loro analisi a mano, sulla base di dati raccolti senza il necessario grado di dettaglio e complessità e i risultati, di conseguenza, sono viziati da un certo grado di approssimazione, fatale nella fase di verifica dell’effettiva riuscita o meno del piano stesso.
DA NON DIMENTICARE NEL PIANO STRATEGICO 2019
Gli elementi che tutti gli avvocati dovranno necessariamente inserire nel piano strategico del nuovo anno riguardano la fatturazione elettronica (obbligatoria per i professionisti verso le imprese), l’eventuale adeguamento al GDPR (Regolamento europeo Privacy), dei loro strumenti comunicativi online (sito e newsletter) e, forse prima ancora di tutto questo, la sicurezza dei dati custoditi dallo studio su supporto informatico dalle intrusioni (cybersecurity).
SCHEDA 1 – GLI OBIETTIVI
«Se non sai dove andare, finirai probabilmente in qualche altro posto», Laurence J. Peter.
Senza obiettivi nessuna pianificazione ha senso; molto banalmente però, lo scopo ultimo della strategia, nella grande maggioranza dei casi è rappresentato dall’aumento dell’utile.
Questo obiettivo, molto comune, si può raggiungere attraverso l’aumento del fatturato, ma anche attraverso la razionalizzazione dei costi, una migliore gestione del tempo o una scelta più accurata delle pratiche e della clientela ovvero grazie a un lavoro strategico da farsi sulla qualità del lavoro e non sulla quantità.
Ogni obiettivo però, per essere raggiungibile va indicato in maniera chiara e determinata poiché la loro impostazione, secondo la teoria del “Goal setting” già citata, è decisiva per la riuscita di qualunque strategia.
Più un obiettivo è chiaro, definito, misurabile, condiviso e anche complesso, cioè ambizioso, più sarà coinvolgente e verrà preso seriamente da chi è deputato a lavorare per compierlo.
Per ricordare le caratteristiche degli obiettivi correttamente “settati”, gli studiosi hanno coniato l’acronimo S.M.A.R.T., ovvero Specifico, Misurabile, Raggiungibile, Realistico e Determinato nel tempo (Specific, Measurable, Achievable, Realistic, Time-constrained).
Scrivere nel piano strategico, ad esempio, che si intende “aumentare l’utile” è un errore. Bisogna indicare che si intende incrementare la redditività di un certa percentuale, motivare la quantità e, per così dire, ambientare questa quantità nel tempo e nel proprio contesto per consentire a tutti gli attori di sapere sempre se si stanno muovendo nella giusta direzione.
SCHEDA 2 LE RISORSE
L’investitore è colui che crede in un domani migliore. Benjamin Graham
L’investimento necessario per raggiungere gli obiettivi può essere calcolato in termini di denaro, di tempo e di molto altro ancora.
Se lo studio legale, ad esempio, decide di ampliare i servizi offerti alla clientela aggiungendo a quelli già erogati, l’assistenza sul settore nuovo della Compliance su Privacy e GDPR alle aziende clienti, può chiedere ad alcuni dei propri avvocati di specializzarsi e lasciare le attività correnti non più remunerative, oppure cercare nuovi collaboratori per ampliare la compagine e offrire il nuovo servizio.
Le due alternative richiedono strategie opposte, valutazioni costi/benefici e pianificazione differente e daranno risultati notevolmente condizionati dal contesto di partenza.
Per fornire un altro esempio, se da una analisi della propria reputazione online, lo studio legale apprende di non essere correttamente posizionato e visibile ai propri potenziali clienti, può decidere di investire tempo e denaro nella realizzazione di una campagna di comunicazione.
Oltre alle spese vive, dovrà considerare il costo per procurarsi il know-how necessario a svolgere l’attività di aggiornamento del sito, produzione di contenuti, realizzazione delle immagini, indicizzazione, ottimizzazione per la SEO (Search Engine Optimization), etc.
I software e il know how necessari, anche in termini di formazione, assunzione o impiego di personale in outsourcing, oltre alle spese vive, fanno parte dell’investimento totale da inserire nel piano strategico.
SCHEDA 3 LA MISURAZIONE DEI RISULTATI
Misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è. Galileo Galilei
Che si tratti di un piano strategico finalizzato al mantenimento di una posizione sul mercato, o all’espansione o allo spostamento in un’area di mercato differente, quel che ripagherà degli sforzi profusi per la sua implementazione, sarà la misura del raggiungimento o meno degli obiettivi.
La quantificazione e, ancor più, la condivisione dei criteri di misurazione dei risultati è parte integrante del piano strategico dello studio.
L’intesa sulle unità di misura e sui criteri di valutazione e il possesso di dati oggettivi di partenza e di arrivo, sono determinanti per il successo delle attività pianificate.
Ogni analisi deve essere diretta da dati (data driven) e, di conseguenza ogni monitoraggio dovrà utilizzare gli stessi criteri per la valutazione del successo o meno di una azione.
La quantità di risorse impiegata infatti dovrà tradursi in un ritorno misurabile, tanto che si utilizzi il denaro come unità di misura (nell’esempio fatto sopra, l’aumento in percentuale dell’ utile dello studio), tanto che ci si serva di altri indicatori per valutare, come nell’esempio fornito, la reputazione attraverso il numero dei click sul sito internet dello studio o sul profilo LinkedIn del titolare.
L’abbandono della “spanna” come unità di misura è il primo grande passo da compiere nell’attività di pianificazione.